Alessandra Rodolfo
Leggi i suoi articoliProsegue il viaggio nel «Museo infinito». Alessandra Rodolfo, curatore del reparto per l’arte dei secoli XVII-XVIII, e del reparto arazzi e tessuti, ci guida attraverso il «Seicento Vaticano» sotto Urbano VIII.
Quando alla morte di Paolo V il testimone passò a Urbano VIII (Maffeo Barberini, pontificato 1623-44), la decorazione dell’appartamento papale si poteva dire conclusa, ad eccezione della piccola cappella privata dell’Appartamento Pontificio che venne affrescata, per volere di papa Barberini nel 1637, con l’«Assunzione della Vergine» e «Storie dell’Antico Testamento» dal pittore fiorentino Agostino Ciampelli.
Di una cappella privata Urbano VIII, qualche anno prima, aveva dotato anche il «vecchio» appartamento papale decorato da Raffaello per Giulio II (1503-13) e Leone X (1513-21), oggi noto come Stanze di Raffaello. Ubicata accanto alla Stanza dell’Incendio di Borgo il piccolo e raffinato sacello passa oggi quasi inosservato, annegato e obliato nel flusso del percorso museale.
L’ambiente costituito da due vani, ricavato nel 1631 in un angolo della Torre Borgia, era la cappella privata o domestica del pontefice che in quel luogo diceva o ascoltava messa quotidianamente in privato. In quest’ultimo caso il papa si ritirava in quello che le fonti chiamano stanziolino (oggi un vano bianco comunicante e adiacente alla cappella vera e propria) dal quale, tramite una finestra munita di grata (in seguito trasformata in porta), il pontefice poteva ascoltare l’ufficio in solitudine.
La volta della cappella fu affrescata dal poco noto pittore Alessandro Vaiani, che eseguì le pitture probabilmente in collaborazione con la figlia Anna Maria, una delle rare artiste del Seicento. Al centro della volta i due artisti dipinsero l’«Orazione nell’orto» mentre nelle lunette rappresentarono alcuni episodi della Passione di Cristo: la «Flagellazione», la «Coronazione di Cristo» e l’«Andata al calvario»; intorno otto vivaci e ammiccanti angioletti sorreggono gli strumenti della Passione di Cristo.
La bella pala d’altare fu, invece, realizzata nel 1635 dal ben più noto Pietro da Cortona, uno dei principali testimoni della grande stagione barocca romana, chiamato a sostituire un precedente dipinto di mano dei Vaiani forse poco gradito. Le pareti della cappella sono foderate da rari parati in cuoio (anche detti corami) seicenteschi provenienti dal Palazzo Apostolico, ivi collocati in epoca moderna secondo un antico uso molto diffuso nei tempi passati. Antesignani delle carte da pareti, detti anche cuoi d’oro, pochi ne rimangono a causa dell’usura del tempo.
Molto usati nel Cinque e Seicento essi erano generalmente costituiti da pelli di vitello o ovino, trattate e dipinte secondo una tecnica particolare che prevedeva l’applicazione sulla pelle, una volta trattata dal conciatore, di una foglia d’argento dipinta e punzonata allo scopo di rendere la superficie più vibrante e in grado di rifrangere suggestivamente la luce delle candele. Generalmente le pelli erano cucite e montate («imbollettate», così recitano gli antichi documenti) sulla parete con chiodi. Il Palazzo Vaticano nel Cinque e Seicento, ma ancora fino all’Ottocento, aveva intere stanze decorate con corami di vari colori.
Se si eccettua tale cappella, e l’importante e invasivo restauro della Galleria delle Carte Geografiche, attestato da nugoli di api che sciamano sulle pareti della Galleria, gli interventi di papa Barberini furono, in realtà, concentrati a creare un più agile e comodo collegamento tra il «nuovo» palazzo e il vecchio edificio.
Nell’ambito di tale percorso cerimoniale rientra la decorazione di una scaletta segreta, definita dalle antiche fonti Urbana (dal nome proprio di Urbano VIII). Ubicata nel cuore del Palazzo vecchio, vicino al cubicolo di Giulio II e alle Stanze di Raffaello, utilizzata dal pontefice per recarsi nelle grandi sale di rappresentanza al piano inferiore, la scaletta di antica costruzione venne nobilitata dal pittore Simone Lagi che, tra il 1627 e il 1628, con gusto squisitamente decorativo, ne ornò pareti e volte con monumenti e avvenimenti dei primi anni del pontificato Barberini a glorificazione del pontefice e del suo operato.
Per andare dal palazzo sistino al vecchio palazzo era necessario percorrere ambienti aperti. Per ovviare al problema Urbano VIII procedette a modificare il cinquecentesco appartamento di Giulio III (Giovanni Maria Ciocchi Del Monte, 1550-55, nel Novecento Appartamento delle Guardie Nobili), che fungeva da tramite tra i due complessi. I lavori architettonici alla zona, che comportarono la copertura di un corridoio scoperto trasformato in Galleriola (detta della Contessa Matilde o del Romanelli) e la creazione di una nuova ampia sala (sala di Carlo Magno), determinarono la necessità di ridecorare alcuni ambienti.
Per l’impresa fu nuovamente impiegato Simone Lagi, «pittore di palazzo» di papa Barberini, attivo membro dell’Accademia di San Luca e a capo di un’operosa bottega che, insieme al socio Marco Tullio Montagna, intervenne in tre stanze dell’appartamento dove i due artisti procedettero a ridipingere parte degli affreschi cinquecenteschi, e a realizzare una elegante decorazione costituita nel registro inferiore delle pareti da medaglioni riproducenti le medaglie del pontificato Barberini in cui, ancora una volta così come nella scaletta, si dispiega l’operato urbaniano (dalle costruzioni, ai restauri agli avvenimenti più importanti) e, nel registro superiore, da vedute che si inseriscono e intrecciano con la decorazione cinquecentesca. Tra di esse, particolarmente suggestive e interessanti l’affascinante rappresentazione notturna della Girandola a Castel Sant’Angelo e la raffigurazione della Basilica di San Pietro munita dei campanili berniniani.
I lavori di adeguamento della zona comportarono anche, come già accennato, la creazione di una grande anticamera, nota oggi con il nome di Sala di Carlo Magno, decorata da un’équipe di artisti guidati dal pittore e mosaicista di Città di Castello, Guidobaldo Abbatini. Il complesso programma iconografico dell’ampio ambiente, focalizzato sul tema della supremazia del potere spirituale su quello temporale, dispiega sulle pareti le immagini di imperatori cristiani (tra cui una di Carlo Magno) a monocromo color bronzo, inquadrati all’interno di finte nicchie, insieme a episodi in cui sembra possibile identificare momenti della vita di Costantino, Carlo Magno e Carlo V.
Contigua a essa nacque, infine, la così detta Galleriola del Romanelli, un piccolo e poco noto ambiente tra i più raffinati di Palazzo. Essa fu ricavata nel 1631 tramite la copertura del passaggio scoperto che metteva in collegamento l’edificio sistino (attuale palazzo papale) con le Stanze di Raffaello, funzionale, dunque, agli spostamenti di palazzo poiché permetteva al pontefice di raggiungere l’antico appartamento delle Stanze di Raffaello senza passare per le logge scoperte. La sua decorazione, focalizzata sulla vita della nobildonna, fu occasione per papa Urbano di ricordare una delle figure a lui più care, la contessa Matilde di Canossa, cui il pontefice dedicò così un omaggio privato all’interno del proprio palazzo, che funge da contraltare ai pubblici onori cristallizzati nel marmo del monumento funebre, realizzato da Bernini e aiuti nella Basilica di San Pietro in occasione della traslazione delle spoglie della nobildonna, prima figura femminile a essere omaggiata con una sepoltura in San Pietro.
Si tratta di un piccolo scrigno (oggi adibito a lipsanoteca), dall’atmosfera quasi rarefatta, che racconta negli affreschi di mano di Giovan Francesco Romanelli, allievo di Pietro da Cortona che vi lavorò dal 1637 al 1642, la storia della Gran Contessa, strenua sostenitrice del papato durante la lotta per le investiture. In realtà tramite la glorificazione di Matilde, con un’abile scelta degli episodi da rappresentare che sembra spetti allo stesso pontefice, la narrazione illustra e celebra un momento importante della storia del papato.
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